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Tribunale di Roma
XVI SEZIONE CIVILE IMPRESE
NR.G 58828/2022 –
Giudice dott.ssa Cristina Pigozzo
Memoria conclusionale
per Pellegrini Francesco, nato a Cosenza il 21.02.1946, residente in Roma, via Calalzo n. 33, c.f. PLLFNC46B21D086L, rappresentato e difeso, congiuntamente e disgiuntamente da sé medesimo francescopellegrini@ordineavvocatiroma.org e dall’Avv. Stefano Antonelli (c.f. NTN SFN 66B21 I726M) con studio, in Grosseto, via Po 3, ed elettivamente domiciliato al di lui indirizzo di posta elettronica certificata stefanoantonelli@pec.ordineavvocatigrosseto.com, l’avv.Francesco Pellegrini dichiara di voler ricevere le notifiche all’indirizzo Pec. Francescopellegrini@ordineavvocatiroma.org
Sulla manifesta ricorrenza dell’abuso del diritto nel caso di specie.
Un antico insegnamento, risalente al giureconsulto Eneo Domizio Ulpiano (Dig. 1.1.10), permea l’intera civiltà giuridica fino ai giorni nostri, asserendo che le regole del diritto sono queste: Honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere.
Nella vicenda per cui è causa nessuno dei convenuti ha informato il proprio agire a queste tre regole fondamentali, perpetrando atti lesivi della sfera giuridica dell’attore, tanto nella dimensione patrimoniale quanto in quella morale, negando allo stesso attore quanto gli sarebbe spettato – oltre tutto nel doveroso assolvimento, da parte sua, dell’onere costituito a suo carico dal fondatore prof. Sergio Giuliani – e, soprattutto, rendendosi inosservanti del supremo precetto dell’honeste vivere.
La vicenda, nei suoi termini fattuali, è oramai ampiamente acquisita al processo e comunque è ripercorsa fin nei dettagli nella ricostruzione che precede, dalla quale emerge quanto “abusiva” sia stata la condotta tenuta – in perfetta sinergia e unità di intenti – dai signori Mungari, Catanese, Gambaro e Walter Pellegrini, dimessisi contemporaneamente (il 9/10 giugno 2022) al fine di fare decadere l’intero Consiglio di Amministrazione ed immediatamente “rientrati in gioco” (il 17 giugno 2022), con nomina dei dimissionari Catanese, Gambaro e Walter Pellegrini (i quali accettano, contraddicendo palesemente le evidentemente non veritiere ragioni addotte per dimettersi) a componenti del “nuovo” Consiglio di Amministrazione da parte dell’ex consigliere dimissionario Mungari (dimessosi al solo fine di determinare la decadenza del CdA ed avere le mani libere per abusare della carica di “Organismo di garanzia”).
Si è già ammesso in citazione, che l’avere accettato di nominare il malintenzionato Mungari a “titolare monocratico” del predetto organismo, inserito nello Statuto su suggerimento (che col senno di poi non può che definirsi fraudolento) dello stesso Mungari, è stata un’ingenuità dell’attore Francesco Pellegrini. Tuttavia tale circostanza non può essere liquidata con considerazioni di senso comune, del tipo “chi è causa del suo mal … ”, giacché proprio le regole auliche del diritto tramandateci dal giureconsulto Ulpiano impongono che dell’ingenuità altrui non è lecito approfittare fino al punto da tradire la fiducia che l’aveva indotta.
Mungari, con la sua condotta, ha innanzi tutto tradito il pactum fiduciae che lo legava al Presidente Francesco Pellegrini, autore della nomina a suo favore quale titolare dell’organismo che lo stesso Mungari aveva proposto in sede di modifica dello Statuto, il cui fondamento, non ritrovando altre plausibili ragioni, si individua inequivocabilmente nel solo elemento plausibile: la fiducia cum amico. E, si badi bene, non è questa una notazione squisitamente morale (che pure sarebbe sufficiente a fare ritenere violato da parte del Mungari il precetto dell’honeste vivere), ma costituisce un rilievo giuridico dell’abuso perpetrato dal fiduciario nei confronti del fiduciante.
La giurisprudenza della Suprema Corte, in funzione nomofilattica, ha recentemente riconosciuto la forza vincolante del pactum fiduciae tanto da giungere a negare che della sussistenza del patto debba fornirsi prova scritta (come riteneva risalente giurisprudenza, ora superata), chiarendo che persino in ambito di attività negoziale avente ad oggetto diritti reali immobiliari (laddove la forma scritta è richiesta a pena di nullità) «condizionare all’osservanza della forma scritta la validità del patto fiduciario significherebbe praticamente escludere la rilevanza pratica della fiducia in molte ipotesi di fiducia cum amico, dato che la formalità del patto finirebbe quasi sempre per incidere sulla dimensione pratica del comportamento, escludendone la fiduciarietà dal punto di vista della morfologia del fenomeno pratico» (testualmente dalla motivazione della sentenza 6 marzo 2020, n. 6459, delle Sezioni Unite della Cassazione). La dottrina, al riguardo, ha autorevolmente asserito che tale sentenza ha avuto il merito di dare consistenza pratica ad un tema che in passato veniva relegato all’empireo delle argomentazioni di stampo parafilosofico, consentendo di apprezzare come, nell’attuale contesto dell’ordinamento giuridico, il concetto di validità non possa essere confinato in una mera conformità procedurale, ma imponga di essere parametrato ai valori costituzionali, i quali esigono che l’atto di autonomia non contraddica all’utilità sociale e vada comunque inteso in chiave di solidarietà (cfr. N. LIPARI, Oltre la fiducia. Per una teoria della prassi, in Foro Italiano, 2020, parte prima, pag. 1951 seg.).
Un tradimento del pactum fiduciae costituisce, già di per sé, un’ipotesi di abuso del diritto, giacché connota la condotta del fiduciario ai danni del fiduciante come una violazione di un principio cardine dell’ordinamento, che ritrova nel divieto di abuso del diritto un corollario dei principi di correttezza e buona fede oggettiva codificati negli artt. 1175 e 1375 c.c. (Cass. 5 marzo 2009 n. 5348; Cass. 11 giugno 2008 n. 15476).
L’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce, infatti, un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione costituisce una specificazione degli “inderogabili doveri di solidarietà sociale” imposti dall’art. 2 Cost., la cui rilevanza si esplica nell’imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge (v., fra le altre, Cass. 15 febbraio 2007 n. 3462). Disporre di un potere non è condizione sufficiente di un suo legittimo esercizio se, nella situazione data, la patologia del rapporto può essere superata facendo ricorso a rimedi che incidono sugli interessi contrapposti in modo più proporzionato.
In questa ottica la clausola generale della buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. è stata utilizzata dalla giurisprudenza per scongiurare gli abusi di posizione dominante.
La buona fede, in sostanza, serve a mantenere il rapporto giuridico nei binari dell’equilibrio e della proporzione e l’abuso del diritto costituisce criterio rivelatore della violazione dell’obbligo di buona fede oggettiva. Esso, in quanto oggetto di un dovere giuridico autonomo, deve intendersi violato anche in mancanza di una condotta preordinata ad arrecare danno alla controparte, non informata a diligente correttezza e solidarietà sociale, che le abbia provocato un danno risarcibile nella misura della prestazione ineseguita (cfr. Cass. civ., sez. III, 24 marzo 1999, n. 2788, commentata favorevolmente dalla dottrina: v. CATERINA in Giurisprudenza italiana, 1999, pag. 1800, e VAGLIO, in Contratti, 1999, pag. 986).
Nel caso di specie appare del tutto chiaro, una mera constatazione di fatto resa manifesta dalle prove documentali acquisite al processo, che il Presidente Francesco Pellegrini, nel momento in cui ha commesso l’ingenuità di nominare “Organismo di garanzia” l’avv. Mungari – all’uopo propostosi dopo avere “suggerito” l’inserimento di siffatta carica, prima non prevista e comunque non necessaria, nello Statuto della Fondazione – intendeva garantire alla Fondazione stessa che in qualsiasi occorrenza (soprattutto qualora si fosse presentata la necessità di nominare un nuovo CdA) la posizione del Presidente sarebbe stata salvaguardata.
Non bisogna, infatti, dimenticare che il fondatore, prof. Sergio Giuliani, aveva individuato proprio nell’avv. Francesco Pellegrini il destinatario di un onere – il cui assolvimento oggi gli viene precluso dalla condotta abusiva posta in essere dai convenuti – di dedicarsi all’attività di gestione ed amministrazione della Fondazione «finché le forze fisiche e morali lo permettano» (vedi donazione modale del 29.09.2014, funzionalmente collegata al testamento con cui il fondatore ha istituito proprio erede universale la Fondazione stessa, sul presupposto che dopo la sua morte l’avv. Pellegrini avrebbe continuato a prendersene cura).
Sennonché il tradimento del pactum fiduciae da parte del fiduciario avv. Mungari – con il fraudolento concorso dei consiglieri Catanese Gambaro e Walter Pellegrini, contestualmente dimessisi insieme a lui – ha esposto il fiduciante, non solo alla lesione immediatamente conseguente alla violazione del patto, ma alla gravosa e non voluta condizione di rendersi inadempiente rispetto all’assolvimento dell’onere a suo carico disposto dal fondatore, che egli in perfetta buona fede ha assunto accettando la donazione del 29.09.2014 e che si rivelerebbe impossibile da assolvere qualora non dovesse intervenire una invalidazione degli atti deliberativi impugnati.
Che l’abuso del diritto sia stato dolosamente perpetrato, in concorso col Mungari, anche dai convenuti Catanoso, Gambaro e Walter Pellegrini, è dimostrato in modo inoppugnabile dalle seguenti circostanze: a) la contestualità delle dimissioni di tutti i consiglieri, in quanto evidentemente compartecipi della “strategia” di Mungari di pervenire ad esautorare il Presidente del CdA; b) l’evidente strumentalità (e falsità) delle ragioni addotte per giustificare le dimissioni, platealmente contraddette dall’accettazione della nuova nomina, loro conferita dallo stratega Mungari a distanza di solo pochi giorni.
Si attaglia perfettamente al caso che ci occupa una decisione della Cassazione (Cass. civ., sez. I, 29 settembre 2020, n. 20625, in Giurisprudenza italiana, 2021, pag. 1391, con nota di VERNERO) che, rispetto al principio secondo cui non sono sindacabili in sede giudiziaria i motivi del voto espresso dalla maggioranza dei soci di una società, chiarisce che esso comunque deve cedere nel caso in cui si configuri un abuso del diritto, ravvisandone gli estremi allorché – in violazione del principio di buona fede in senso oggettivo – la deliberazione sia preordinata al solo fine di perseguire esclusivamente interessi divergenti da quelli societari (conflitto di interessi) ovvero di ledere gli interessi degli altri soci (abuso di maggioranza).
Quali le conseguenze giuridiche del perpetrato abuso del diritto, in fraudolento concorso tra loro, da parte dei convenuti?
La figura giurisprudenziale dell’abuso del diritto consente al giudice del caso concreto l’approntamento di diversi rimedi, ma nel caso di specie non possono sussistere dubbi circa l’efficacia ed effettività di un rimedio di tipo demolitorio, attraverso la declaratoria di nullità e/o annullamento e/o comunque invalidità delle deliberazioni impugnate.
Tenendo conto che il divieto di abuso di ogni posizione soggettiva, come insegna il Consiglio di Stato, costituisce principio generale del nostro ordinamento giuridico (sentenza n. 8769, in data 9 ottobre 2023, della V sezione giurisdizionale), rimedi che comportino la rimozione degli atti abusivi sono in linea di massima da preferire rispetto a rimedi meramente risarcitori.
Ad esempio nel diritto del lavoro l’abuso del diritto del lavoratore nell’ambito del rapporto viene ritenuto di rilevanza disciplinare, fino a poter essere sanzionato con il licenziamento (vedi Cass. 6 settembre 2022, n. 26198; 19 luglio 2019, n. 19580).
Non di meno in materia societaria (le cui regole si ritengono applicabili alle deliberazioni degli enti aventi personalità giuridica di diritto privato, come le fondazioni), l’abuso può costituire motivo di invalidità della delibera quando vi sia la prova che il voto determinante del socio di maggioranza è stato espresso allo scopo di ledere interessi degli altri soci, oppure risulta in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, in violazione del canone generale di buona fede nell’esecuzione del contratto (Cass. 20 gennaio 2011, n. 1361, in Rivista di diritto societario, 2012, pag. 84, con nota di D’ALONZO, e in Banca, borsa e titoli di credito, 2013, II, pag. 121, con nota di PRESCIANI).
Si ritiene utile replicare in questa sede per sottolinearne l’ infondatezza le accuse di controparte che sono coerenti con il thema decidendum dell’ abuso diritto e che hanno puntato a una lettura non fedele dei fatti di causa anche in occasione della richiesta di sospensiva ex art 23 CC non accolta con Ordinanza.
Se ne fa una sintesi per quanto possibile contenuta ma non elusiva.
Sulle asserite violazioni nella gestione del progetto editoriale “Calavrìa/I Calabresi” e danni patrimoniali subiti dalla Fondazione.
(….) Deliberava di concordare con Nicaso la predisposizione di un nuovo numero 0 del mensile Calavrìa. Il CdA si limitava a prendere atto del nuovo piano dei costi e ricavi” nel merito si osserva
Prenderne atto, di conseguenza, vuol dire in un consiglio di amministrazione condividere i contenuti della deliberazione portata a consapevolezza dei componenti del consiglio. La formula peraltro è ricorrente quando il CdA deve manifestare il proprio consenso anche quando l’ Organo consiliare era presieduto dal fondatore Giuliani e l’ avv . Mungari redigeva il relativo verbale come Segretario.
Nel merito va precisato che non esiste una norma giuridica che ci dica cos’è la presa d’atto. Quello che è certo è che si tratta di un istituto che si applica esclusivamente nella sfera del diritto amministrativo, e non in altri ambiti. La presa d’atto non è comunque nemmeno riconducibile formalmente alla categoria del provvedimento amministrativo, in quanto non presenta le caratteristiche proprie di quest’ultimo.
Un Consiglio di amministrazione approva o boccia una decisione. Non esiste una formulazione intermedia, che non sia al limite il rinvio della decisione perché si ritiene che non sussistano tutte le informazioni adeguate per prendere la decisione-
Se fossero sussistite le ragioni per bocciare la proposta in tale modo si sarebbero dovuti comportare i consiglieri di amministrazione, oppure avrebbero dovuto chiedere rinvio del voto per un supplemento di istruttoria finalizzato ad acquisire elementi considerati mancanti. Cosa che non è accaduta. La presa d’atto è quindi una approvazione sostanziale della decisione valutata, senza che si manifesti una convinta adesione.
Sulla Gestione finanziaria e approvazione del bilancio 2022.
Controparte ricostruisce nel modo seguente il percorso che conduce al cambio della governance: “Veniva convocata una nuova riunione del CdA della Fondazione per il 30 maggio 2022 con, all’ordine del giorno, tra le altre cose: – approvazione del bilancio consuntivo 2021; – resoconto sulle perdite registrate dai titoli presso UBS; –
Sul punto è bene precisare chi aveva deciso le politiche di investimento finanziario negli anni precedenti e intratteneva in via esclusiva il rapporto con UBS per la gestione del portafoglio finanziario della Fondazione.
Controparte stendendo un opportuno, pro domo sua, velo pietoso sulla disponibilità delle leve gestionali per la dotazione finanziaria della Fondazione, conduce “dotta” dissertazione sulle vicende dalla rivista, che si conclude con la presa d’ atto quindi con la adesione, sul progetto per come era stato presentato dal Presidente, sfumando tutti i toni circa il soggetto che ha tenuto le fila della struttura finanziaria della Fondazione, il cui destino è sempre stato legato dal fondo di dotazione che costituiva la garanzia essenziale per il funzionamento.
Francesco Pellegrini non aveva mai avuto alcuna possibilità di gestire i rapporti con il soggetto che aveva assunto la titolarità della liquidità finanziaria della Fondazione. Chi aveva deciso di accettare il mutamento di profilo dell’investitore da “prudente” a “mediamente rischioso”, profilo che peraltro non è compatibile con la missione di un ente che deve preservare il capitale assegnato utilizzando i proventi della gestione finanziaria per realizzare le sue iniziative statutarie era stato il Consigliere Mungari,
Esercitando la delega che era stata decisa dal Consiglio di Amministrazione, nella sua seduta del 19 febbraio 2021, fu l’avvocato Mungari a stabilire l’allocazione in investimento delle risorse finanziarie che costituivano il patrimonio della Fondazione.
Il peggioramento verticale dei conti della Fondazione dipende soprattutto dal deterioramento grave della sua struttura finanziaria, più che dalle scelte gestionali adottate sulle singole iniziative correnti. Non è un caso che controparte eviti di affrontare un tema spinoso che è il cuore del deterioramento della situazione economica. Nella riunione del 30 maggio 2022, si legge: “Il Consigliere Santo Emanuele MUNGARI prende la parola per commentare la gestione degli investimenti. Il Consigliere fa riferimento al Verbale del Consiglio di Amministrazione del 20 aprile 2020, in cui gli si dà mandato di procedere, sottoscrivendo i fondi, in continuità con l’investimento precedente del Fondatore Dott. Sergio Giuliani”.
Peraltro il profilo da investitore della Fondazione non era coerente con le caratteristiche istituzionali dell’ente, che consigliano di aderire ad investimenti con basso profilo di rischio, mentre invece in portafoglio erano presenti titoli ad elevato grado di rischio che poi hanno risentito della forte instabilità finanziaria intervenuta sui mercati dopo le turbolenze derivanti dalla guerra russo ucraina.
Violazioni nella gestione del progetto editoriale “Calavrìa”/”I Calabresi” e danni patrimoniali subiti dalla Fondazione.
Al netto della ricostruzione del tutto non veritiera dell’ iter progettuale e autorizzativo del quotidiano on line ICalabresi il cui successo diffusionale e patrimoniale viene bizzarramente tradotto nell’ affermazione del sig . Walter Pellegini in “ un danno per la Fondazione” senza spiegare in cosa tale danno consisterebbe , perché è probabile che il presunto danno sia piuttosto riferito al timore che la mancata approvazione del mensile cartaceo Calavria per il quale era stato designato Antonio potesse essere un “ danno per la sua rete relazionale.
Chiusura Società partecipata “Calavria Srl” con realizzo di una minusvalenza pari ad euro 307.507.
E’ noto che per poter far crescere e far affermare una testata, cercando di incrementare la sua diffusione, in modo che riesca a produrre ricavi, è necessario fare un notevole investimento iniziale. E questo comporterà l’inevitabile realizzazione di forti perdite iniziali. Sono quelli che potremmo chiamare costi di avviamento e che si protrarranno per almeno due anni. Nel terzo anno, considerando il consolidamento della testata ed il progressivo aumento dei lettori, inizieranno ad aumentare anche i ricavi derivanti dalla pubblicità online, dalla sottoscrizione di abbonamenti da parte dei lettori e di eventuali sostenitori.
Inoltre non va trascurata nemmeno l’entrata potenziale da contributi pubblici, a cui la testata può accedere dopo due anni di vita. Nella creazione di un business plan di una testata giornalistica, quindi, a seguito delle perdite importanti da registrare nei primi due anni di vita, negli anni successivi si registra un potenziale pareggio nel terzo anno ed un reddito dal quarto anno in avanti.
Alla luce di tutte queste considerazioni sull’argomento, resta difficile comprendere le motivazioni che hanno indotto a interrompere questa iniziativa imprenditoriale nel momento in cui potenzialmente questa stava iniziando a produrre ricavi e, soprattutto, dopo che aveva già sostenuto la maggior parte dei costi di avviamento della testata.
Poteva essere valutata l’opzione di aprire all’ingresso di nuovi azionisti, poteva essere deciso di “stringere i denti” e continuare ad investire nel progetto, ovviamente affiancando un’attenta valutazione affinché quello che la dottrina prevede, effettivamente si verifichi (anche se l’incremento del numero dei lettori già lo stava confermando). Fermarsi e consolidare la perdita lascia veramente più che perplessi, basiti. Si ricorda che alla data della chiusura ICalabresi aveva registrato 2milioni e mezzo di visualizzazioni, con un trend che sarebbe arrivato a fine 2022 a circa 5milioni, aveva 30.000 followers, e era stato valutato secondo la metodologia accreditata dal prof Spirito , economista e top manager di lunga esperienza euro 250.000,00 ( al pari della srl editrice Calavria partendo da un capitale iniziale di euro 20.000).
Si sottolinea altresi che il budget previsto annualmente pari ad € 160.000,00 era stato calcolato e previsto – al momento della “ presa d’atto” della disponibilità del Presidente a curarne la creazione e la direzione – come settimanale e non come poi si decise poi come quotidiano.
Merita altresi ricordare che per il mensile cartaceo Calavria con direttore designato Antonio Nicaso era stato previsto da Walter Pellegrini che era delegato all’ attuazione delle iniziative editoriali un budget di € 193.000,00 , con previsione di distribuzione mensile di 500 copie per un totale di 6000.00.
Minusvalenze da alienazione
La cosa che stupisce di questa manovra, non è tanto la motivazione del profilo di rischio adottato per la gestione patrimoniale della Fondazione, che è condivisibile. Ma la decisione improvvisa di chiudere tutti i rapporti con il vecchio gestore finanziario (Banca UBS), consolidando così la perdita registrata fino a quel momento, per trasferire tutto il patrimonio finanziario ad un altro gestore finanziario (Banca Fideuram). Non ci sono particolari colpe da imputare a Banca UBS, che negli anni passati aveva sempre permesso di registrare dei rendimenti. La guerra in Ucraina è stato un evento impossibile da prevedere, ma che ha scombinato tutti i mercati finanziari. Sembra che il nuovo CdA abbia adottato una logica di “stop loss” tipica di trader che investono sul mercato finanziario, più che gestori di un patrimonio di una Fondazione. Quindi sfugge la ratio della scelta con la quale si decide di andare da Banca Fideuram, consolidando le perdite ed impattando in maniera importante sul bilancio della Fondazione.
Conclusioni
Tutto ciò premesso:
Si confida nell’accoglimento della domanda principale.
In ogni caso, l’attore vanta anche il diritto al risarcimento dei danni, sia in ipotesi di accoglimento della domanda principale, sia qualora si dovesse accogliere solo la subordinata.
Che l’atto compiuto con abuso del diritto sia comunque qualificabile come atto illecito, ai sensi dell’art. 2043 c.c., è affermazione che nell’evoluzione del nostro ordinamento giuridico non può essere revocata in dubbio (ex multis, v. Cass. 25 luglio 2023 n. 22375).
Il concetto di “danno ingiusto”, originariamente inserito nella norma dal legislatore con riferimento all’illiceità della condotta, già da tempo ha superato gli steccati di un sistema di responsabilità civile di carattere puramente sanzionatorio verso una concezione dell’ingiustizia del danno riferita alla situazione soggettiva lesa (si pensi, ad esempio, al danno ingiusto cagionato dall’illegittimo esercizio di attività provvedimentale della pubblica amministrazione: cfr. Cass. 24 gennaio 2024, 2368 e 15 novembre 2022 n. 33659, entrambe delle Sezioni Unite).
La giurisprudenza ha quindi “sdoganato” ipotesi di danno prima sconosciute al diritto: dal danno biologico al danno esistenziale (sia pure limitato a lesioni dei diritti fondamentali), dal danno morale soggettivo al danno non patrimoniale al di fuori delle fattispecie di reato, dal danno all’immagine (cui è stato persino esteso il danno erariale) al danno da perdita di chance.
Nell’atto di citazione si è quantificato “prudenzialmente” un danno complessivo di € 450.000, in base al criterio del mancato guadagno, tenendo conto che nel Terzo Settore, come già nelle Onlus, trova applicazione l’art. 10 comma 6 del Dl 460/1997, che prevede la possibilità di retribuire gli amministratori entro un limite annuo non superiore al compenso massimo previsto per il presidente del Collegio sindacale di società per azioni (Dpr 645/1994 e Dl 239/1959) pari ad € 95.577,70.
Il Tribunale potrà comunque valutare altri criteri determinativi fra i molteplici “sdoganati” dalla giurisprudenza, ivi compreso quello equitativo “classico” da parametrare rispetto al caso concreto in esame e alla gravità della condotta abusiva dei convenuti, per accogliere la domanda attraverso correzione del petitum in somma maggiore o minore di quella indicata in citazione.
Gli orientamenti più recenti della giurisprudenza ammettono che nel nostro ordinamento può oramai ritenersi recepita anche la “novità”, derivante dal diritto anglosassone, del c.d. danno punitivo (cfr. R. RORDOF, I “danni punitivi” e la natura polifunzionale della responsabilità civile, in Danno e responsabilità, 2023, pag. 431), sicché non mancherà alla saggezza del Tribunale di ponderare anche sotto tale profilo la sussistenza di un diritto risarcitorio, rispetto al grave abuso subito dall’attore, da comminarsi in maniera esemplare attraverso una condanna “punitiva” dei convenuti in solido.
Avv. Francesco Pellegrini Avv. Stefano Antonelli